Nel 1964, l'anno in cui Bill Pitts iniziò a studiare statistica, Stanford ancora non offriva un corso di laurea in informatica (bisognerà aspettare fino al 1986 prima che venisse ufficialmente istituito). Per attirare studenti, il dipartimento di Statistica permetteva alle matricole di frequentare un corso base di informatica come parte integrante del programma di studi.
In un periodo in cui le lezioni di informatica erano ancora rarissime in qualsiasi istituto, molti studenti provenienti dai college colsero al volo quella opportunità .
Anche Bill Pitts si iscrisse al corso di statistica ma poi sviluppò una passione per la vita "underground". Invece di frequentare le lezioni, spendeva il suo tempo all’Università di Stanford esplorando la fitta rete di tunnel che si dipanavano sotto i 32 Kmq del campus in cerca di punti di accesso agli edifici off-limits, quelli interdetti al personale non autorizzato.
"Arrivai a Stanford nell'autunno del '64 e per il primi due anni il mio hobby fu quello di intrufolarmi nei laboratori", racconta.
Anche se Pitts non era l'unico studente che esplorava quei tunnel rumorosi e poco illuminati, le sue erano quasi sempre missioni solitarie. "C'erano tracce di altri esploratori, ma in realtà non ci siamo mai incontrati. Qualche volta notavo dei mattoni a terra e delle aperture lungo le gallerie, evidentemente create da qualcuno prima di me che aveva aperto un nuovo passaggio".
Esplorare i tunnel era un gioco pericoloso: "In effetti, si correva qualche rischio. Avevo una giacca di pelle molto pesante, tutta logora, con l'imbottitura che cadeva a brandelli, ma la indossavo lo stesso, anche quando lì sotto la temperatura saliva oltre i 40° C. Se si fosse rotto un tubo del riscaldamento, pensavo che mi avrebbe protetto da un getto di vapore bollente... ma in realtà mi sarei bruciato lo stesso, solo un po' più lentamente".
L'interesse di Pitts nell'esplorazione del campus di Stanford si rivelò di fatidica importanza. Una sera del 1966, mentre stava guidando per raggiungere alcuni amici in un locale, notò un viale d'accesso che saliva lungo una collinetta a circa cinque miglia dal centro di Stanford.
"A giudicare dalle scritte all'esterno, era chiaro che si trattava di un edificio dell'università , uno dei pochi a cui non avevo ancora fatto visita", racconta Pitts, "così decisi che quella notte sarei tornato là e avrei trovato il modo di entrare".
Armato dei soliti attrezzi che utilizzava per aprire lucchetti e serrature, Pitts tornò in quel sito misterioso verso le 23:00 e senza difficoltà si introdusse nel laboratorio. Inizialmente rimase deluso: "Era tutto illuminato e c'erano tante porte ma nessuna era chiusa a chiave, solo dopo capii che ero all'interno dello Stanford Artificial Intelligence Project. Il laboratorio era dotato di un sofisticato sistema di computer in time-sharing basato sul Digital Equipment PDP-6, un grosso computer a cui erano connesse una ventina di telescriventi, affinché più persone potessero lavorarci simultaneamente, come se avessero il computer a loro completa disposizione. All'epoca era qualcosa di magico. Il fatto che un singolo computer potesse soddisfare le richieste di 20 utenti era veramente stupefacente e ne rimasi affascinato".
Il laboratorio dell'Artificial Intelligence Project era attivo da pochi mesi, da quando John McCarthy, il padre fondatore di quella nuova disciplina informatica, si era trasferito a Stanford per proseguire il suo lavoro iniziato al MIT, portando con lui un gruppetto di assistenti. Fra questi c'era anche Steve Russell, il creatore di Spacewar!, a cui era stato affidato il compito di rendere operativo il sofisticato sistema time-sharing basato sul PDP-6.
Pitts aveva frequentato il corso base di informatica e voleva a tutti i costi mettere le mani su quel computer, espressione assoluta della modernità .
Riuscì a convincere Lester Earnest, il responsabile del laboratorio, e ottenne il permesso di utilizzare quella macchina se non c'erano altri studenti in attesa.
"Les disse: ok, puoi usare il computer ma solo quando nessun altro ci sta lavorando", racconta Pitts. "Così, presi l'abitudine di trascorrere tutte le notti nel laboratorio, fino verso le sette del mattino, quando cominciava ad affacciarsi qualcuno. Non frequentai più nemmeno un corso, non me ne importava più niente. L'unica cosa che mi interessava erano i computer. I miei genitori erano perfettamente consapevoli di questa situazione e non la presero bene".
Allo Stanford Artificial Intelligence Project, Pitts prese contatto con le eccellenze informatiche di quel periodo. Lavorò al fianco di Arthur Samuel, uno dei pionieri dell'intelligenza artificiale che aveva lasciato IBM per dedicarsi alla ricerca; vide nascere i primi software musicali che avrebbero gettato le basi per i sintetizzatori Yamaha; osservò i laureandi che collegavano bracci meccanici e videocamere al PDP-6 e gli insegnavano a riconoscere e spostare oggetti. E soprattutto conobbe Spacewar!.
"Spacewar! era una delle cose fantastiche all'A.I. Lab", racconta Pitts. "Uno dei miei amici delle scuole superiori, Hugh Tuck, capitava spesso da quelle parti e più di una volta lo invitai al laboratorio". Fu nel 1966, durante una di queste sessioni a Spacewar!, che Tuck se ne uscì con un'osservazione: "Se questo gioco funzionasse a gettoni, si potrebbero fare un sacco di soldi! Ma all'epoca i computer erano ancora troppo grandi e costosi, e l'idea rimase poco più che un sogno".
Poi, nel 1970, la Digital Equipment Corporation presentò il PDP-11, un mini-computer venduto a meno di $20.000. A quel costo, pensò Pitts, una versione a gettoni di Spacewar! sarebbe stata fattibile. "Chiamai Hugh e gli dissi che era finalmente era giunta l'ora di iniziare a lavorare a quel progetto". Nonostante $20.000 fosse ancora una cifra proibitiva per una macchina dedicata all'intrattenimento — slot machine e giochi arcade elettromeccanici si potevano acquistare per circa $1000 — i due amici decisero che avrebbero realizzato un prototipo e poi avrebbero trovato il modo di renderlo più economico per commercializzarlo.
Con questo scopo formarono la Computer Recreations Inc. e si misero al lavoro. Grazie ai soldi della benestante famiglia di Tuck, iniziarono a modificare un PDP-11 per creare la loro versione di Spacewar!
Considerato che in quel periodo anche nel campus universitario stava montando la protesta per la guerra in Vietnam, i due decisero di assecondare il sentimento pacifista e di bandire il termine "war" dal nome del gioco, ribattezzandolo â€Galaxy Gameâ€.
Decisero di far pagare 10 cents a partita, oppure un quarto di dollaro per tre partite. Il vincitore di ogni round avrebbe ottenuto una partita gratis per il turno successivo. L'idea era di mantenere la macchina sempre in funzione, garantendo così un flusso costante di monetine.
Nell'agosto del 1971 era quasi tutto pronto.
Dopo aver completato la parte hardware, Hugh Tuck, che era un ingegnere meccanico, si occupò della progettazione del cabinet e ne commissionò la realizzazione ad un altro ingegnere di Palo Alto. Il primo cabinet era di legno impiallacciato in noce e permetteva ai giocatori di disputare la loro partita stando seduti — una caratteristica pensata per incoraggiare delle sessioni di gioco prolungate che avrebbero portato maggiori introiti.
The Tresidder Union, un bar frequentato dagli studenti all'interno del campus dell'università di Stanford, aveva accettato di ospitare Galaxy Game e fare da sito di test per valutare il gradimento degli utenti.
Mentre stavano dando gli ultimi ritocchi, Pitts e Tuck ricevettero una chiamata da Nolan Bushnell della Nutting Associates.
"Grazie a delle conoscenze in comune", racconta Pitts, "Bushnell era venuto a sapere che avevamo realizzato la nostra versione di Spacewar! basata su un PDP-11. Era curioso di vedere la nostra implementazione ma al tempo stesso voleva mostrarci un progetto simile a cui lui stava lavorando, poiché a suo parere stavamo sprecando un sacco di denaro".
Bushnell, come Pitts, scoprì Spacewar! quando frequentava l'università di Utah, verso la metà degli anni '60, e si era innamorato del gioco. Ma, a differenza di Pitts, Bushnell aveva già maturato una certa esperienza in quel business. Per pagarsi gli studi, aveva lavorato al parco giochi Lagoon a Farmington, una cittadina a nord di Salt Lake City, poco lontano dalla sede universitaria.
La passione che Bushnell nutriva per Spacewar!, l'interesse per l'ingegneria elettronica e l'esperienza nell'industria del divertimento, sommato al suo spirito imprenditoriale, lo portò immediatamente a ripensare il gioco ideato dagli hacker del MIT per trasformarlo in una macchina coin-op.
"Quando vidi Spacewar! per la prima volta girare su un PDP-1, avevo già iniziato a lavorare al parco Lagoon durante il periodo estivo ed ero perfettamente a conoscenza degli aspetti economici che governavano quell'attività . Pensai che riprodurre quel gioco avrebbe potuto fruttare molti soldi ma, con i computer dell'epoca che costavano uno sproposito, non avrebbe mai funzionato... o più precisamente, non avrebbe mai funzionato dal punto di vista economico poiché sarebbe stato impossibile trarne un profitto".
L'idea rimase chiusa in un cassetto. Dopo aver conseguito la laurea in ingegneria nel 1968, Bushnell fu assunto dalla Ampex Corporation, un'azienda ben nota per le sue innovazioni nelle tecnologie di registrazione audio-video.
In quel periodo venne a conoscenza del Data General Nova, un nuovo mini-computer lanciato (in configurazione base) a soli $3,995, e subito gli tornò in mente Spacewar!. "Pensai che se quel computer fosse stato in grado di gestire quattro monitor, ognuno dedicato a una postazione di gioco, allora avrebbe fruttato abbastanza denaro da ripagarsi", disse Bushnell.
Insieme al suo collega Ted Dabney, un altro ingegnere della Ampex, Bushnell iniziò a progettare la sua versione di Spacewar! "Eravamo buoni amici e Ted aveva un'ottima conoscenza dell'elettronica analogica, una dimestichezza che io non avevo... sono sempre stato più 'digitale', me la cavavo bene con bit e byte ma Ted ne capiva molto di più quando si trattava di interfacciare una televisione, fornire il giusto voltaggio per l'alimentazione e cose del genere..."
Usare il Nova alla fine non si dimostrò una strada percorribile. All'inizio il computer era così lento da non riuscire ad aggiornare le immagini a schermo con la velocità necessaria. Bushnell e Dabney pensarono di sgravare il computer da una parte dell'elaborazione aggiungendo dei componenti hardware separati che svolgevano compiti specifici, come ad esempio visualizzare il cielo stellato che faceva da background al gioco. Ma ancora non funzionava. Anche la riduzione del numero di schermi supportati dal computer non consentì al gioco di girare a velocità accettabile.
Verso la fine del 1970, dopo aver fatto tutti questi tentativi, Bushnell concluse che il progetto basato su un computer era irrealizzabile. "Ero molto frustrato e decisi di lasciar perdere", disse Bushnell. "Ma quel problema continuava ad assillarmi e non riuscivo a smettere di pensarci... finché mi venne in mente una soluzione alternativa: avremmo potuto fare a meno del computer e realizzare tutto in hardware. Da quel punto in poi, il lavoro andò avanti spedito".
Pezzo a pezzo, Dabney e Bushnell crearono dei circuiti dedicati per riprodurre in hardware tutte le funzionalità che originariamente avevano demandato al computer della Data General. Il software veniva così sostituito da una logica implementata con componenti discreti e integrati TTL: da un punto di vista puramente tecnologico si trattava di un passo indietro.
In ogni caso, quel tipo di approccio non solo superò le difficoltà realizzative ma rese la macchina anche più economica da costruire. Economica a tal punto che venne meno la necessità di supportare più monitor per competere nel mercato delle macchine arcade coin-op.
Ma il nuovo tipo di implementazione costrinse anche a ripensare completamente il gioco stesso: invece del classico duello nel campo gravitazionale di Spacewar!, un singolo giocatore controllava un'astronave che doveva fronteggiare altre due navicelle controllate dalla macchina.
In poche parole, non era più Spacewar!.
Nell'estate del 1971, quando il gioco era ormai quasi completato, Bushnell contattò la Nutting Associates, una neonata impresa di Palo Alto che aveva già iniziato a commercializzare coin-op con buon successo.
Nel 1968, Bill Nutting aveva rilevato una piccola azienda locale che realizzava strumenti didattici per la US Navy. Fra i vari prodotti c'era una macchina che visualizzava su schermo dei quiz a scelta multipla e quindi invitava l'utente a premere il tasto corrispondente alla risposta. Nutting pensò che il concetto potesse essere divertente e facilmente esportabile: re-ingegnerizzò la macchina, aggiunse una gettoniera e la ribattezzò "Computer Quiz".
La Nutting Associates distribuì più di 4000 Computer Quiz, un numero superiore alla media dei flipper più popolari, e questo iniziale successo garantì all'azienda una buona liquidità . Nell'agosto del 1971, proprio quando l'azienda necessitava di un secondo progetto, Bill Nutting fu contattato da Bushnell con la proposta di un rivoluzionario videogame e colse l'opportunità al volo. Per completare il lavoro, Bushnell lasciò la Ampex e si dedicò a tempo pieno al suo progetto. Nutting Associates, in continuità con Computer Quiz, ribatezzò il suo gioco "Computer Space".
Fu in quel periodo, nell'Agosto del 1971, che Bushnell sentì parlare del videogioco sviluppato da Pitts e Tuck. Così decise di chiamarli: "Ero curioso. Non sapevo quale computer stessero usando... pensavo un PDP-8 o un PDP-11. Volevo sapere quali accorgimenti avevano adottato".
Pitts e Tuck accettarono l'invito di Bushnell e fissarono un incontro nella sede della Nutting a Mountain View. "Quando arrivammo lì, Nolan stava armeggiando con un oscilloscopio al prototipo di Computer Space", disse Pitts, "Il gioco era in una fase di sviluppo avanzata, così potè darcene una dimostrazione abbastanza vicina alla versione finale".
Bushnell sperava di ricevere qualche suggerimento dai due ma quell'incontro non portò alcun risultato. "Erano dei ragazzi svegli ma pensavo che avessero trovato il modo di tagliare i costi... invece non avevano ancora affrontato il problema della sostenibilità economica del loro progetto e per questo motivo non potevo considerarli dei concorrenti".
A sua volta, Pitts riteneva che Bushnell avesse aggirato l'ostacolo dal punto di vista tecnologico con delle soluzioni brillanti ma credeva che il loro gioco fosse nettamente migliore: "Rimasi veramente impressionato dalla sua abilità ingegneristica ma il nostro gioco era il vero Spacewar! La nostra versione di Spacewar! era un'implementazione software che girava su un vero computer. Quella di Nolan era una versione surrogata che poco aveva a che fare con il gioco originale".
Qualche settimana dopo, nel settembre del 1971, Galaxy Game, il primo videogame coin-op, fece il suo debutto al Tresidder Union.
L'hardware di Galaxy Game si basava su un computer PDP-11/20 con 8k di memoria, la versione entry level dal costo di circa $14.000. Il computer che faceva girare il gioco era nascosto nella mansarda del locale ed era collegato al cabinet con 30 metri di cavo.
Come monitor si utilizzò uno Hewlett-Packard 1310A, che era un display X-Y per la grafica vettoriale, simile ad un grande oscilloscopio. Questa serie di monitor, introdotta da HP verso la fine degli anni '60, era costruita con un nuovo tipo di tubo catodico a deflessione elettrostatica che permetteva di ottenere dei display molto più grandi in rapporto alla profondità . Ad esempio, in un rack standard, dove era solitamente alloggiato un oscilloscopio da 5", poteva essere installato un "vector-display" HP da 14". Oltre ad essere più grande, il display era dalle 10 alle 100 volte più veloce ad aggiornare l'immagine rispetto ad un tradizionale tubo catodico elettromagnetico.
Nel 1967, quando venne introdotto da HP con un prezzo di listino di circa $3000, il 1300A fu il primo display per computer disponibile sul mercato a supportare le nuove applicazioni grafiche che da lì a poco sarebbero fiorite. Non a caso, nella leggendaria "Mother of all Demos" del 1968, Douglas Engelbart utilizzò proprio un HP 1300A per dimostrare le capacità del suo sistema interattivo e multimediale.
"L'utilizzo di un monitor vettoriale come l'HP 1310A rendeva anche le cose più semplici dal punto di vista della programmazione poiché il fascio di elettroni era talmente veloce a spostarsi da un lato all'altro dello schermo che non c'era bisogno di sincronizzarlo, mentre con un tubo catodico di tipo elettromagnetico sarebbe stato necessario intercettare l'istante in cui il fascio raggiungeva il bordo, stopparlo e aspettare che tornasse dall'altro lato prima di continuare a tracciare", racconta Pitts.
L’interfaccia per il display venne progettata da Ted Panofski. Sommando qualche altra componente, il costo complessivo del prototipo di Galaxy Game risultò di poco inferiore ai $20.000.
Se il computer, il monitor e altre parti hardware di Galaxy Game erano molto costose, altre componenti specifiche erano praticamente impossibili da trovare in commercio. La gettoniera fu gentilmente offerta da Rowe International, uno storico produttore di jokebox a cui era giunta voce del progetto di Pitts e si offrì di prestare aiuto. Per i joystick fu tutta un'altra storia:
â€A San Carlos c'era un posto chiamato J&H Outlet", racconta Pitts. â€Vendevano surplus militare, parti di aeroplani e ogni sorta di componenti elettronici che, chissà come, erano finiti lì. Trovai dei joystick che erano originariamente montati su un bombardiere B-52, probabilmente risalenti agli anni '50, che erano stati dismessi per obsolescenza o perché malfunzionanti. Erano impiegati per controllare qualcosa che aveva a che fare con il sistema radar del B-52... mi ricordo una scena del film 'Il dottor Stranamore', quando viene sganciata la bomba nucleare, in cui questi joystick sono ben visibili. Fatto sta che riuscii a procurarmeli al J&H Outlet nel 1971.
I joystick erano molto robusti e pesanti, proprio come ci si aspetta da ogni componente costruito secondo standard militari. Nel prototipo del gioco non furono modificati granché, ci limitammo ad adattarli: funzionavano ma non permettevano grande precisione poiché erano joystick analogici. Ma nella seconda versione di Galaxy Game, vennero modificati in controller completamente digitali, migliorando di molto l'affidabilità .
Il joystick controllava la rotazione e il motore della navetta, un grilletto nella parte anteriore serviva per sparare i missili mentre con il bottone sulla sommità si attivava l'iperspazio".
Fin dal primo momento dopo la sua accensione, Galaxy Game attirò una folla di giovani. "C'erano sempre una decina di persone ammassate attorno alla macchina che si sporgevano sopra le teste dei giocatori e cercavano di guardare la partita in corso", racconta Pitts.
Il gioco diventò così popolare fra gli studenti di Stanford che a volte le persone rimanevano in coda per ore prima di poter giocare e presero l'abitudine di allineare le loro monetine sopra al cabinet per prenotare il proprio turno, una pratica che sarebbe diventata comune nelle sale giochi di tutto il mondo negli anni a venire.
Una monetina garantiva una certa quantità di carburante che veniva consumato più o meno velocemente in base alle azioni compiute.
Come nella versione originale di Spacewar!, in Galaxy Game era possibile modificare il gioco con numerose opzioni, solo che erano attivabili in modo molto più user-friendly, senza la necessità di modificare a mano il codice sorgente.
"Nella versione originale di Spacewar, ad esempio, per modificare la forza di gravità dovevi utilizzare un debugger, individuare nel codice la costante della gravità , stoppare il programma e cambiare quel valore per rendere l'attrazione gravitazionale più forte, più debole o anche invertirla, ma dovevi essere un programmatore per fare questo genere di cose. Nella mia versione posizionai una fila di bottoni fra i due joystick che permettevano di selezionare le varie opzioni. C'erano 16 differenti impostazioni per il campo gravitazionale, si poteva scegliere il livello di potenza dei motori, la velocità dei missili, ecc...
Quando le navicelle raggiungevano il bordo dello schermo, potevano attraversarlo e ricomparire dal lato opposto, potevano rimbalzare, oppure potevano esplodere! Una variante di gioco interessante consisteva nel settare quest'ultima opzione e la gravità negativa, cioè con la stella centrale che ti respingeva verso i bordi dello schermo, il cui contatto diventava letale e doveva essere evitato dosando accuratamente la potenza dei motori".
Nonostante il successo, Galaxy Game non generava sufficienti entrate per giustificare il suo costo. Ma la popolarità del gioco incoraggiò Pitts e Tuck a perseverare.
"Tutti rimasero veramente affascinati da Galaxy Game, così con Hugh decidemmo di assemblarne una seconda versione", disse Pitts.
"La seconda versione di Galaxy Game presentava due cabinet affiancati, realizzati in fibra di vetro e verniciati di un bel colore blu; aveva un aspetto molto più rifinito e usava un'interfaccia più evoluta che avrebbe consentito di gestire contemporaneamente fino a quattro display. Però dovevamo comprare un altro computer e altri monitor, così le spese salirono rapidamenteâ€.
Quando la versione due fu completata, la famiglia di Tuck era arrivata ad investire nel progetto qualcosa come $65,000 — una somma enorme nel 1971.
"Sebbene la nuova interfaccia video potesse gestire fino a quattro console, per motivi di spazio, ci limitammo a due postazioni affiancate in cui si sfidavano contemporaneamente quattro giocatori. Il PDP-11 era alloggiato all'interno di uno dei due cabinet e pilotava entrambi i sistemiâ€.
Oltre all’estetica rinnovata, il gioco presentava una serie di migliorie ai comandi e qualche nuova caratteristica, come ad esempio la possibilità di aumentare la velocità di rotazione o la potenza dei motori se si manteneva il joystick in una determinata posizione per un intervallo di tempo sufficientemente lungo.
"Il primo sistema installato allo Student Union di Stanford continuò a fare bene. Cercai poi di trovare un posto per l'altro esemplare che avevamo prodotto, ma ovunque lo portassi suscitava poco interesse. Sembrava che solo la comunità di Stanford lo apprezzasse veramente, in altri contesti la gente non aveva voglia neanche di leggere le istruzioni".
Nel giugno del 1972, anche la seconda unità venne parcheggiata al Tresidder Union, dove rimase fino al 1979. Sentendosi moralmente in obbligo con la famiglia di Tuck, Pitts mantenne operativa la macchina fino a ripagare, almeno parzialmente, i fondi investiti.
In seguito, il primo prototipo venne smantellato e anche la seconda versione, dismessa per problemi all’interfaccia video, rischiò di andare perduta per sempre.
Nel 1997 l'originale e unico esemplare di Galaxy Game venne riesumato e restaurato e fa ora parte del Computer History Exhibits a Stanford.
A differenza di Computer Space, Galaxy Game non varcò mai i confini del campus di Stanford. Pitts e Tuck si resero conto ben presto che la loro creazione era troppo costosa per essere commercializzata su larga scala e neanche provarono a proporre l'idea a un produttore di macchine arcade. Ma il loro intento di riprodurre fedelmente Spacewar! in versione coin-op fu pienamente centrato.
"La verità è che Hugh ed io eravamo due ingegneri e non prestammo la dovuta attenzione agli aspetti economici; l'unico nostro intento fu quello di ricreare Spacewar! e dotarlo di una gettoniera", disse Pitts. "Invece Nolan si comportò come un vero imprenditore: prese Spacewar! e riuscì a declinarlo in un'ottica commerciale, mentre noi avevamo una visione più 'geek' e volevamo mantenerci fedeli al gioco originale".
* * *
Nel Novembre del 1971, due mesi dopo il lancio di Galaxy Game, il primo esemplare di Computer Space fu installato al Dutch Goose bar, vicino al campus dell'Università di Stanford.
Il suo cabinet in fibra di vetro, sinuoso e dalle tinte sgargianti, sembrava uscito da un film di fantascienza — alcuni dicono da â€2001 odissea nello spazioâ€, ma probabilmente era più vicino ai canoni estetici di Barbarella. In ogni caso, Computer Space, proprio grazie all’originalità del cabinet e non tanto per il videogioco in sé, finì veramente sul set di un film, â€2022: i sopravvissuti†(titolo originale: Soylent Green), diretto da Richard Fleischer nel 1973.
"Il Dutch Goose fu il primo locale in cui testammo Computer Space e andò fantasticamente bene. Però non tenemmo conto che quel bar fosse frequentato quasi esclusivamente da studenti", disse Bushnell.
Nutting Associates, sperando di replicare il successo ottenuto, mise in produzione 1500 unità di Computer Space e iniziò a proporre ai distributori la sua nuova macchina arcade dotata di rivoluzionaria tecnologia elettronica che non prevedeva parti in movimento.
Ma in un contesto diverso da quello universitario l'accoglienza del pubblico fu piuttosto fredda.
"Le macchine installate nei distretti più popolari, nei bar frequentati per lo più da operai, non fecero un soldo. Il gioco era troppo complesso, troppo difficile da padroneggiare, la gente comune faceva fatica a comprenderne i comandi sulla consolle".
Paragonato ai videogiochi arcade che seguirono in quegli anni, Computer Space viene considerato un flop ma per Bushnell fece abbastanza bene per essere un prodotto del tutto nuovo che stava aprendo un nuovo mercato: "Prima di allora, non avevo mai creato un prodotto da un milione di dollari. Nutting andò in perdita ma per me rappresentò un buon inizio, non tanto per le royalty che incassai ma per la consapevolezza che quel business poteva funzionare".
Sotto forma di coin-op arcade, Spacewar! fece fiasco perché il gioco era troppo complesso per l'utente occasionale.
Per Busnnell il successo arrivò l'anno seguente con Pong, un progetto estremamente più semplice che conquistò il grande pubblico e avviò la crescita impetuosa di Atari.
Nel 1977 uscì Space Wars, un altro videogioco arcade direttamente ispirato a Spacewar!, realizzato da Larry Rosenthal per la Cinematronics.
Grazie all’innovativa tecnologia e a un mercato più maturo, questa volta il gioco ottenne anche un meritato successo di pubblico. Da questo punto di vista, Space Wars riuscì dove avevano fallito Galaxy Game e Computer Space.
Space Wars fu il primo videogioco arcade con grafica vettoriale e rappresentò il capostipite di una generazione di videogiochi della golden age, ispirando, a sua volta, la creazione di un grande classico come Asteroids.