Steve Wozniak all'Homebrew Computer Club

Questo è un estratto del libro iWoz, scritto in prima persona dal Steve Wozniak.

Vi posso raccontare qual è stato il giorno in cui tutto è cominciato, quando secondo me è partita la rivoluzione del computer, quella rivoluzione che ha cambiato la nostra vita. La scintilla scattò durante la prima riunione di uno strano gruppo di persone appassionate di tecnologia chiamato Homebrew Computer Club nel marzo del 1975.
Era tutta gente simile a me. La maggior parte di loro era giovane e aveva il tipico atteggiamento dell’ingegnere; nessuno aveva un bell’aspetto. Già, infatti stiamo parlando di ingegneri, ricordatevelo. Ci incontravamo nel garage di un ingegnere disoccupato chiamato Gordon French.
Dopo aver participato alla prima riunione, iniziai a progettare quel computer che in seguito sarebbe diventato noto come Apple I. Fu lì che mi venne l’ispirazione. Fin dall’inizio l’Hombrew aveva un obiettivo: rendere accessibile a tutti la tecnologia e fare in modo che chiunque potesse permettersi un computer per farci qualsiasi cosa. Proprio quello era anche il mio obiettivo, già da diversi anni. Così mi sentivo a casa lì. Il verbo professato dall’Hombrew non faceva che espandersi.

L’idea di un mondo—un mondo possibile—in cui i computer potessero essere posseduti da chiunque e usati da chiunque, indipendentemente dalle condizioni sociali, iniziò presto a concretizzarsi. Noi volevamo che i computer fossero alla portata di tutte le tasche e volevamo che entrassero a far parte della vita delle persone.
Tutti i membri dell’Homebrew Computer Club consideravano i computer come un bene per l’umanità, uno strumento che avrebbe portato giustizia sociale.
Pensavamo che dei computer a basso costo avrebbero messo in grado le persone di fare cose che neanche avevano mai immaginato prima. All’epoca solo le grandi aziende potevano permettersi i computer. Ciò significava che erano in grado di fare delle cose che non erano alla portata delle piccole imprese e della gente comune. Noi volevamo cambiare la situazione.
Sotto questo aspetto eravamo dei rivoluzionari.

Le grandi compagnie come IBM e Digital Equipment non prestarono ascolto al nostro messaggio sociale. Non avevano la minima idea di quanto sarebbe diventata forte la nostra visione e dell’importanza che avrebbero assunto questi piccoli computer. Si limitavano ad osservare quello a cui stavamo lavorando— piccoli computer da hobbisti—e dicevano che sarebbero rimasti dei semplici giocattoli, con un mercato insignificante. Neanche immaginavano le possibili evoluzioni. Si faceva un gran discutere del fatto che stavamo innescando una rivoluzione.

Il modo di vivere delle persone, il loro modo di comunicare, sarebbe cambiato per sempre grazie a noi, sarrebbe cambiato enormemente, oltre ogni possibile previsione. Ovviamente non ci limitavamo a filosofeggiare, facevamo anche molti discorsi pratici e si dibatteva su quali soluzioni tecniche e quali componenti specifici sarebbe stato più conveniente adottare. La gente cominciava già a parlare dei futuri usi dei computer in chiave umanistica.
Noi pensavamo che i computer potessero essere usati per le esigenze più disparate, anche le più strane e geek, come ad esempio controllare l’accensione delle luci in casa, ma poi l’evoluzione prese altre strade. A tutti noi era evidente che le cose stavano cambiando. Un cambiamento di grandezza epocale, che non sapevamo definire esattamente, ma in cui credevamo.

Tutte le grandi aziende di computer erano concordi nell’affermare che i progetti che stavamo portando avanti non avevano alcuna importanza. Come poi fu evidente, sbagliarono del tutto la loro previsione.
Ma all’epoca anche noi non avevamo la percezione esatta di quel fenomeno e delle proporzioni enormi che avrebbe assunto.

Il modo in cui entrai in contatto con l’Homebrew è a dir poco strano e anche paradossale. Ricordate Allen Baum? Lui risbuca sempre in diversi momenti importanti nella mia vita! Era il mio amico con cui lavorai per un periodo alla Sylvania, avevamo frequentato la stessa scuola superiore, suo padre aveva progettato il TV Jammer, con lui e Steve Jobs ci eravamo presi gioco dei diplomati dell’Homestead High, e fu sempre lui che mi aiutò a trovare quel posto di lavoro fantastico alla Hewlett-Packard.

A quel tempo ancora lavoravo all’HP. Un giorno ricevetti una chiamata da Allen. Quella telefonata avrebbe cambiato di nuovo la mia vita, mi fece scoprire l’Homebrew Club. Allen mi disse: “Ascolta, ho trovato un volantino qui all’HP, c’è un invito a partecipare a una riunione di persone appassionate di video terminali e roba del genere...”
All’epoca, all’inizio del 1975, avevo già una certa esperienza con i video terminali, avevo lavorato a diversi progetti ed avevo appreso parecchie cose sul modo di inviare i dati dal computer alle TV. Avevo già realizzato la mia versione casalinga di Pong, il gioco Breakout per Atari e costruito il mio terminale che poteva accedere ad ARPANET, la rete di computer creata dall’agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, il precursore di internet.

Qualcosa in più sull’Homebrew Club
Partecipai fin dalla prima riunione, nel marzo del 1975, insieme ad altre persone che in seguito avrebbero fondato la propria azienda di computer, come Bob Marsh e Lee Felsenstein (Processor Technology), Adam Osborne (Osborne Computers), oltre a me e Steve Jobs, che coinvolsi di lì a poco. Una volta scrissi un articolo sull’importanza dell’Homebrw, lo potete trovare qui.

Il mio terminale era in grado di visualizzare i caratteri a video, fino a sessanta al secondo. Può sembrare lento, ma all’epoca era circa sei volte più veloce delle telescriventi comunemente usate, e molto più economico. Le telescriventi costavano migliaia di dollari, troppo per lo stipendio di un ingegnere, ma io costruii il mio sistema usando una TV Sears e una tastiera da $60.
Proprio come feci per la mia versione di Pong e il sistema di videoregistrazione Cartrivision, inviai il mio segnale video ad una normalissima TV, l’unica di cui trovai il completo schema di funzionamento dove erano indicati quali pin usare.

Se Allen mi avesse detto che all’Homebrew si sarebbe parlato principalmente di microprocessori, probabilmente non sarei andato. Sono praticamente sicuro che non avrei partecipato. Ero timido e conoscevo poco o niente degli ultimi sviluppi nel settore dei computer. Quello non era più il mio campo, all’epoca ero completamente immerso nel mio favoloso lavoro all’HP, progettavo calcolatrici. Non avevo più seguito l’evoluzione dei computer.

A malapena sapevo cos’era un microprocessore.

Pensavo che fosse una riunione in cui si parlava di terminali video e, allora si, avrei potuto avere qualcosa da dire. Ero un po’ spaesato ma ormai ero lì.
E sapete una cosa? La decisione di restare cambiò tutto. Quella notte sarebbe stata una delle più importanti della mia vita.

Circa trenta persone presenziarono a quella prima riunione nel garage a Menlo Park. Era freddo e stava pioviginando ma lasciarono aperta la porta del garage e sistemarono le sedie all’interno. Così mi sedetti lì e ascoltai la lunga discussione.
Parlavano di un computer basato su un microprocessore che veniva venduto in kit. Tutti ne sembravano entusiasti. Qualcuno aveva la rivista Popular Electronics, sulla cui copertina c’era in bella vista la foto di quel computer. Era chiamato "Altair", prodotto da un’azienda del New Mexico di nome MITS. Si potevano acquistare tutti i pezzi necessari e, una volta assemblati, avevi il tuo computer. Mi resi conto che tutte quelle persone erano in realtà dei fanatici dell’Altair e non appassionati di video terminali come credevo io.

Non facevano che parlare di microprocessori, usando una terminologia a me sconosciuta. Tutti i discorsi avevano come argomento l’Intel 8080, l’Intel 8008 e il 4004, tutti chip di cui ignoravo le funzionalità. Infatti, come dicevo, negli ultimi tre anni mi ero occupato solo della progettazione di calcolatrici e non ero affatto ferrato sull’argomento.
Mi sentivo proprio a disagio e fra me e me stavo maledicendo Allen Baum per avermi portato lì. Io non mi sentivo parte di quel mondo. Poi facemmo il giro delle presentazioni e quando fu il mio turno dissi “Sono Steve Wozniak, lavoro alla Hewlett-Packard, mi occupo di calcolatrici e ho progettato un videoterminale.” Forse aggiunsi qualche altro dettaglio ma ero così emozionato di parlare in pubblico che non ricordo proprio cosa possa aver detto.

Dopodichè, scrivemmo su un foglio il nostro nome, in cosa eravamo principalmente interessati e quali erano le nostre particolari abilità, in modo da rendere queste informazioni note a tutto il gruppo. (Questo documento è ora di pubblico dominio e dovrebbe essere reperibile online).
Su quel foglio scrissi anche “Ho molto poco tempo libero.”
Non è divertente? Oggi sono costantemente impegnato a firmare autografi a tutte le persone che me lo chiedono, ma già allora ero molto impegnato: lavoravo sempre a nuovi progetti. La mia vita non è cambiata molto in tutti questi anni, qualcosa vorrà dire!

Ad ogni modo, anche se non mi sentivo integrato in quel gruppo, accadde un evento fortunato: un ragazzo iniziò a distribuire le specifiche tecniche di un microprocessore 8008 di un’azienda canadese, un clone dell’Intel
8008. Portai a casa quella documentazione, pensando che almeno avrei imparato qualcosa.
Quella notte studiai le specifiche di quel microprocessore e mi resi conto che aveva un’istruzione per aggiungere una locazione di memoria al registro A. Pensai, aspetta un minuto... Poi lessi che aveva un’altra istruzione che poteva essere usata per sottrarre memoria dal registro A...
Bene, forse questo non significa niente per voi, ma io conoscevo perfettamente il significato di queste istruzioni, e fu molto emozionante scoprirle. Erano esattamente le stesse istruzioni che avevo usato quando progettavo e riprogettavo su carta quei minicomputer ai tempi della scuola superiore e del college.
La logica alla base dei minicomputer che avevo progettato su carta era identica a questa. Solo che ora tutte le parti che andavano a costituire la CPU erano condensate in un unico chip, il microprocessore.

Questo aveva dei pin dedicati a cui potevano essere collegati altri componenti, come ad esempio chip di memoria. Così compresi cosa effettivamente fosse l’Altair—il computer per il quale c’era tutto quel grande entusiasmo alla riunione. Era del tutto simile al Cream Soda Computer che avevo progettato cinque anni prima. Quasi identico, se non per il fatto che l’Altair era basato su un microprocessore mentre la mia CPU impiegava diversi chips.
Un’altra differenza stava nel fatto che qualcuno stava vendendo quella macchina in kit per $379, se non ricordo male.

Avevo progettato il Cream Soda Computer ben cinque anni prima che posassi gli occhi su un Altair.

Era come se tutta la mia vita precedente fosse stava finalizzata a questo scopo. Avevo progettato i miei minicomputer, ero riuscito a visualizzare le informazioni a schermo con Pong and Breakout, e avevo già realizzato un video terminale.
Grazie al Cream Soda Computer e ad altri progetti del genere, sapevo come collegare la memoria e ottenere un sistema funzionte.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era questo microprocessore canadese, o un microprocessore simile, e qualche chip di memoria. Così avrei messo insieme il computer che avevo sempre desiderato! Mio dio. Avrei potuto costruire il mio computer e avrei potuto usarlo per farci qualsiasi cosa mi passasse per la mente.

Non avevo intenzione di spendere $400 per un Altair—perchè di fatto ti vendevano una manciata di chip, un case di metallo e qualche lucina. Era un mio intero stipendio, decisamente troppo. E per equipaggiare l’Altair in modo da poterci fare qualcosa di interessante, avrei dovuto spendere molto di più, centinaia, anche migliaia di dollari in più. Inoltre avevo già fatto quelle sperimentazioni con il Cream Soda Computer e ora trovavo noiose quelle funzionalità basilari.
Non volevo tornare indietro, quello era un punto di partenza per fare un salto ulteriore. Capii che avevo l’opportunità di costruire il computer che avevo sempre voluto. Mi serviva un microprocessore e attorno a questo avrei progettato un computer estremamente compatto su cui poter scrivere dei programmi. Programmi come giochi, simulazioni e come quelli che di solito usavo a lavoro. Le possibilità erano infinite. E non dovevo di certo acquistare un Altair per fare tutto questo. Lo avrei progettato io stesso. Quella notte, la notte dopo la prima riunione dell’Homebrew Club, l’intera visione del personal computer era già sbocciata nella mia mente. Tutto fu improvvisamente chiaro. È andata proprio così.
Quella stessa notte iniziai a buttare giù su carta il progetto di quello che sarebbe diventato l’Apple I.

Continua a leggere: Come nasce l'Apple I