Scorn, l’opera prima dello studio serbo EBB Software prende chiaramente ispirazione dalle atmosfere infernali di Hans Ruedi Giger, artista svizzero ‘padre’ delle creature di Alien, in un mondo all’apparenza alieno di cui nulla ci è dato sapere, ma che esploreremo a partire dai suoi meandri più reconditi fino ad arrivare in superficie al cospetto di imponenti statue raffiguranti umanoidi dagli attributi maschili e femminili, vagando nei corridoi di quello che sembra essere un tempio di una civiltà ormai collassata. A questo punto vi avvertiamo, se desiderate procedere nella lettura lo spoiler è assicurato.
Gli sviluppatori hanno progettato l’esperienza attorno all’idea di “essere scaraventati in un mondo ignoto”, privando i giocatori di ogni consueto punto di riferimento: non esiste alcuna mappa che aiuti ad orientarsi nelle diverse strutture labirintiche che contraddistinguono lo spazio architettonico, le cutscene sono ridotte al minimo e non svelano alcunché della storia, lo schermo è privo di qualsiasi indicatore di salute o munizioni – eccetto quando impugniamo le armi che troveremo lungo il percorso e quando siamo attaccati – e, soprattutto, Scorn è privo di dialoghi. EBB Software si è concentrato sulla creazione di un'esperienza videoludica di tipo ambientale, contraddistinta da atmosfere perturbanti ed orrorifiche, che in alcuni casi fanno addirittura accapponare la pelle. Dopo aver risolto il primo enigma dell’Atto I, ad esempio, dovremo recuperare da una sorta di capsula incubatrice un umanoide deforme ed utilizzare una delle sue braccia per aprire un cancello. Questa situazione ci metterà davanti a due possibilità: staccare l’umanoide dal suo involucro-uovo attraverso una gru a forma di cucchiaio che gli amputerà il braccio uccidendolo, permettendoci così di utilizzarlo; oppure, sottoporlo alle lame affilate di una sorta di motosega che gli strapperà la pelle dalla schiena lasciandolo sì in vita, ma in agonia, per poi incastrargli il braccio in uno dei meccanismi che regolano l’apertura e la chiusura di una porta. Una scena decisamente brutale che ci mette già in guardia su ciò che ci aspetta nelle otto ore di gioco successive. Se episodi come questo sono respingenti dal punto di vista grafico, come ad esempio le rappresentazioni di alcune fosse comuni distribuite nei livelli più bassi della struttura in cui si trovano decine e decine di corpi ammassati e mutilati, ancora di più lo sono i momenti in cui, grazie ad un'acuta osservazione della conformazione architettonico-ingegneristica dell'ambiente, iniziamo a dedurre l'organizzazione della società.
Scorn è ambientato in un mondo non ben definito, forse alieno o forse postumano, in cui la società ha raggiunto un livello di ingegnerizzazione del corpo tale da permettere la creazione di elementi prostetici che si innestano direttamente nella pelle e macchinari che si attivano a contatto con la carne. Ma questo non è tutto. È stato possibile dare vita, inoltre, alla produzione di umanoidi su larga scala per utilizzarli come materia di sostentamento per la società stessa e i suoi ingranaggi. Con l'avanzare del gioco intuiamo che la società di Scorn ha una suddivisione che ricorda quella delle caste, in cui coloro che stanno ai livelli più bassi lavorano per il sostentamento di chi risiede ai vertici. In questo caso, tuttavia, sono gli individui stessi ad essere coltivati, allevati e successivamente raccolti per la produzione di sostentamento organico dei processi produttivi, oppure come parti di ricambio per la creazione di esseri simil robotici – verso la fine del gioco, ad esempio, ci troveremo a combattere con un umanoide composto da arti assemblati tra loro in una stanza in cui si conservano braccia, gambe, torsi e mani appesi al soffitto come se fossero degli insaccati.
Come già anticipato, Scorn riserva un ruolo da protagonista all'ambiente, omaggio visivo al lavoro di Hans Giger e che rimanda inevitabilmente al film Alien (1979) di Ridley Scott e ai prequel del regista, Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017). Le architetture progettate da EBB Software sono rappresentative di un ambiente in cui materia organica, sangue, arterie e strutture metalliche si integrano le une nelle altre formando una sorta di esoscheletro, un grande ambiente che vive, respira e che produce a sua volta creature storpie da allevare e consumare. Dai numerosi strumenti di tortura presenti nei bassifondi di Scorn fino ai bassorilievi che decorano l'imponente tempio degli umanoidi, i rimandi alle illustrazioni presenti nel Necronomicon di Giger sono a dir poco espliciti. Il volume è stato pubblicato per la prima volta nel 1977 e l'artista svizzero lo donò a Scott durante la fase di preproduzione di Alien. Da allora rappresenta uno dei capisaldi visivi della lore della saga, dal famoso Xenomorfo alla poltrona-postazione degli Ingegneri.
EBB Software attinge a questo immaginario visivo ma i rimandi ad un mondo post umano e perturbante sono numerosi. Alcuni innesti e armi utilizzate dallo sconosciuto protagonista ricordano gli strumenti chirurgici (o di tortura) progettati dal personaggio di Beverly nel film Gli Inseparabili di David Cronenberg (1988), il cui universo filmico viene spesso richiamato dall’estetica del gioco. Vi sono però riferimenti che suscitano connessioni anche con il mondo dell’arte contemporanea e delle arti visive, soprattutto con quelle ricerche artistiche che indagano il concetto di postumano e di corpo ingegnerizzato. Mentre giocavo a Scorn non ho potuto fare a meno di pensare alle figure deformi che popolano la produzione visiva dell'artista australiana Patricia Piccinini che, contraddistinta da un iperrealismo inquietante, riflette su numerosi concetti, tra cui quello di mutazione e concepimento, temi a cui allude anche Scorn. Durante il gioco dovremo spesso interagire con degli involucri contenenti esseri deformi, simili a dei feti artificiali, per risolvere alcuni puzzle ambientali, ma incontreremo anche parassiti ripugnanti (anche il nostro protagonista sarà accompagnato da un parassita per gran parte del gioco, finché non verrà momentaneamente estirpato dal suo corpo, che gli causerà dolore ma che lo aiuterà anche a portarsi appresso numerosi oggetti, come le armi e uno strano arnese contenente i proiettili e i booster per la vita) che hanno progressivamente infestato alcune aree della grande macchina architettonica degli umanoidi. Infine, le decorazioni del tempio ritraggono umanoidi intenti in svariati atti sessuali e figure femminili con il ventre gonfio. I concetti di mutazione e ingegnerizzazione del corpo mi hanno fatto inoltre pensare alle sperimentazioni degli artisti Stelarc e Orlan, che hanno sottoposto i loro corpi a diversi tipi di interventi chirurgici con innesti più o meno organici come un atto di riconfigurazione della nozione stessa di corpo.
Alla fine del gioco, una volta all'interno del tempio sopra citato, ci troveremo al cospetto di una imponente ragnatela composta da materia cerebrale che collega tra loro numerosi umanoidi. Questa sorta di “mente collettiva” sembrerebbe rappresentare il massimo traguardo a cui auspicano e per raggiungere questo stato di macabra beatitudine vengono issati su una specie di ruota della tortura (la scena ricorda il supplizio di Santa Caterina d'Alessandria sulla ruota, ma anche il processo di scorticamento a cui è sottoposto il personaggio di Anna nell'horror psicologico Martyrs di Pascal Laugier del 2008) e collegati tramite una sorta di cordone ombelicale a questo "cervello condiviso". In linea con il gioco, anche il finale è enigmatico. Il nostro protagonista senza nome subirà la stessa sorte degli altri umanoidi e verrà issato sulla ruota per essere collegato alla mente collettiva. Successivamente, dovremmo portare il suo corpo oltre un varco, impersonando a questo punto due figure femminili, ma falliremo nella missione. Mentre stiamo per incamminarci verso quella che sembra essere una dimensione ulteriore situata oltre un ponte avvolto dalla nebbia e decorato da numerose statue, il parassita (non si sa come) ci attaccherà impadronendosi di nuovo del corpo del protagonista, fondendosi una volta per tutte con esso in una sorta di scultura fatta di carne e ossa dilaniate. A questo punto, la nostra avventura è giunta al termine, lasciandoci con mille quesiti e innumerevoli dubbi, ma ormai dovremmo aver intuito che Scorn è stato progettato per essere volutamente un enigma.
Nonostante EBB Software abbia rilasciato anche un artbook, gli sviluppatori non sono interessati a fornire troppe spiegazioni rispetto alla trama e al finale, difatti la storia è lasciata in gran parte alla speculazione. Il titolo presenta alcune lacune che riguardano le meccaniche di gioco - i puzzle ambientali sono pochi, a fronte di numerose interazioni di tipo meccanico per aprire e chiudere porte o avviare ascensori e, in aggiunta, la modalità FPS è molto macchinosa e acerba, con armi estremamente raffinate dal punto di vista grafico ma poco coinvolgenti nell'azione - ma tutto ciò passa in secondo piano grazie ad un'ambientazione curata nel minimo dettaglio e un'atmosfera così misteriosa da far rimanere incollati allo schermo. Vi contribuisce anche il comparto audio, caratterizzato principalmente da suoni ambientali che riproducono sapientemente il rumore di dita che si infilano negli orifizi umidi e viscidi di alcuni macchinari speciali e di arti che si strappano. Giocare a Scorn significa buttarsi nell'ignoto per cimentarsi in un'esperienza videoludica ambientale altamente respingente, oscura, priva di risposte ma stracolma di enigmi. Non è solo un gioco, ma una visione distopica di una civiltà le cui continue sperimentazioni sul corpo l’hanno destinata ad un lento collasso.