Olio di palma, alzato il limite di consumo raccomandato

L'autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha aggiornato la dose giornaliera tollerabile relativa al 3-monocloropropandiolo (3-Mcdp), un contaminante derivante dal processo di trasformazione degli oli vegetali e presente soprattutto nell'olio di palma

(Foto: Barcroft Media/Getty Images)

L'importante è non ridurre tutto a un fa male o a un non fa male. Perché la questione sulla salubrità dell'olio di palma è un po' più articolata. Nella seconda settimana di gennaio, l'autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha reso pubblico un documento datato novembre 2017 in cui si aggiorna il profilo di rischio associato al 3-monocloropropandiolo (3-Mcpd). Si tratta di un composto organico derivato dal processo di lavorazione del glicerolo e dunque contenuto in una serie di alimenti come gli oli vegetali trasformati, fra cui – in particolare – spicca l'olio di palma.

Non si tratta di una modifica sostanziale, ma di un cambiamento quantitativo riguardo la dose giornaliera tollerabile di 3-Mcpd. Nello specifico, secondo l'Efsa, la dose massima quotidiana ora è fissata in 2 microgrammi di 3-Mcpd per ogni chilogrammo di peso corporeo, contro il precedente valore massimo di 0,8 microgrammi. In pratica questo significa che, citando Efsa, "i livelli di consumo di 3-Mcpd tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori, ma esiste un potenziale problema di salute per i forti consumatori delle fasce di età più giovane. Nella peggiore delle ipotesi, i neonati nutriti esclusivamente con latte artificiale potrebbero lievemente superare il livello di sicurezza". Bambini piccoli a parte (che ovviamente sono penalizzati dal peso corporeo ridotto), per un adulto con una dieta bilanciata è di fatto impossibile superare la dose massima giornaliera, a meno che non si faccia un uso smodato di prodotti a base di olio di palma. Ma a quel punto i rischi per la salute sarebbero soprattutto di altro genere.

Se già prima dell'ultimo aggiornamento l'olio di palma non era affatto da demonizzare secondo la comunità scientifica (ma secondo un rapporto Efsa del 2016 esistevano comunque "potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tutte le fasce d’età giovanile e per i forti consumatori di tutte le fasce d’età"), ora a maggior ragione ha poco senso sostenere che questo grasso vegetale rappresenti un rischio per la nostra salute. Va comunque ricordato che, in quanto grasso saturo, all'interno di una dieta equilibrata l'olio di palma andrebbe assunto in quantità molto modeste, pari al massimo al 10% dell'apporto calorico totale. Sostenere che l'olio di palma faccia più male rispetto ad altri grassi saturi, invece, è oggi ancora di più una bugia, una tesi che contrasta con il parere di scienziati e autorità competenti in materia di sicurezza alimentare.

Perché la valutazione sull'3-Mcpd è rilevanteTra le possibili fonti di rischio associate all'olio di palma, il 3-monocloropropandiolo è uno dei contaminanti da processo più chiacchierati, poiché sono in corso studi scientifici riguardo a possibili effetti nocivi a lungo termine sulla fertilità maschile e sui reni. A livello industriale, questa sostanza si forma durante i processi di raffinazione ad alte temperature degli oli, e può restare in piccolissime dosi anche negli alimenti, come contaminante contenuto nel grasso vegetale lavorato impiegato come ingrediente. Per questo motivo l'Efsa si sta da tempo interessando ai suoi possibili effetti indesiderati sulla salute umana, valutando la pericolosità in base alle quantità consumate e alla durata più o meno prolungata dei periodi di esposizione.

Che cos'è cambiato nella valutazioneL'aggiornamento non è dovuto a nuovi studi scientifici, ma all'utilizzo "da parte degli esperi dell'Efsa" di "un'approccio scientifico aggiornato". Come ha spiegato Christer Hogstrand, che ha diretto sia il gruppo autore dello studio Efsa del 2016 sul 3-Mcpd sia quello che ha portato all'aggiornamento, la revisione fa seguito a due elementi. Da una parte ci sono le nuove valutazioni comunicate dalla Fao e dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che attraverso un comitato congiunto hanno fissato la soglia di sicurezza in 4 microgrammi di 3-Mcpd per ogni chilogrammo di peso corporeo. Dall'altra, è cambiato anche il metodo con cui il calcolo viene eseguito, come raccontato già un anno fa in occasione dell'aggiornamento della metodica della dose di riferimento da parte dell'Efsa. Alla fine si è deciso di fissare la soglia a 2 microgrammi, ossa la metà (probabilmente a scopo cautelativo) rispetto a quanto valutato da Fao e Oms, ma comunque più del doppio rispetto alla valutazione precedente.

Non c'è solo l'3-McpdIl motivo per cui è un po' troppo semplicistico ridurre la notizia a *"l'olio di palma non fa più male", *o "l'olio di palma è stato scagionato", è che il consumo di questo grasso comporta l'assunzione anche di altre sostanze potenzialmente nocive per la salute. Per quanto riguarda i glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), ad esempio, secondo l'Efsa si tratta di sostanze potenzialmente genotossiche e cancerogene, ossia è possibile che possano causare mutazioni. La valutazione di rischio per i Ge non è stata aggiornata, dunque oltre un certo margine di esposizione potrebbero esistere "potenziali problemi di salute per tutte le fasce di età". Questo però non vale solo per l'olio di palma, ma per molti altri grassi frutto di lavorazioni da parte dell'industria alimentare, in parte presi in considerazione dagli studi Efsa e in parte no.

Difficile prevedere se, e in che modo, le nuove valutazioni avranno un impatto sulle strategie delle industrie alimentari e sul marketing. Anche perché, come abbiamo ricordato proprio ieri qui su Wired, il tema dell'olio di palma include molti altri aspetti di natura economica e ambientale che vanno al di là dei possibili (e a questo punto ridotti e non peculiari) rischi per la salute umana associati al suo consumo.