Storia dei Computer Giapponesi

Gli Home Computer NEC PC-8801, Fujitsu FM-7 e Sharp X1 costituivano la "triade giapponese", insieme allo standard MSX dominavano il mercato interno dei computer a 8-bit

japan computer trinity

I primi computer vennero introdotti in Giappone da IBM negli anni '50. Subito dopo, le grandi aziende giapponesi come Fujitsu, Hitachi e NEC, iniziarono a sviluppare le proprie soluzioni e, grazie al governo che favoriva le imprese locali, arrivarono a spartirsi il mercato interno dei mainframe prima e dei minicomputer poi.

In uno scenario simile a quello americano, nella la metà degli anni '70, i personal computer non rappresentavano alcun interesse per i maggiori produttori che, al contrario, cercavano di orientare i clienti verso soluzioni su cui avevano maggiori margini di guadagno.
Comunque, NEC, essendo la più piccola delle tre consolidate aziende giapponesi che operavano nel settore, aveva una percezione diversa del mercato: non vedeva nei personal computer solo la possibile erosione delle vendite dei minicomputer, ma li considerava una nuova categoria di prodotto che rispondeva a esigenze diverse e che apriva nuove interessanti opportunità.
Nell'agosto del 1976, la divisione semiconduttori di NEC introdusse il TK-80 (Training Kit μCOM-80), un computer single-board originariamente rivolto agli ingegneri per favorire l'adozione della propria cpu μPD8080A, compatibile con l'intel 8080. La scheda era equipaggiata con 512 byte di RAM, un diplay LED e un tastierino esadecimale.

NEC TK-80
Single Board Computer NEC Training Kit TK-80 (1976)

Grazie al prezzo contenuto di 89,500 yen (circa $350) riscosse un buon successo anche fra studenti e hobbisti. L'anno successivo venne commercializzata la scheda di espansione TK-80BS (BASIC Station) che portava la memoria a 5Kb, rendeva possibile l'utilizzo del BASIC grazie ad una tastiera completa e il collegamento del sistema alla TV.
Nel '78 NEC mise sul mercato il Compo 80/BS, sostanzialmente un all-in-one basato sul TK-80 alloggiato in un case di plastica.

NEC Compo BS80
Home Computer NEC Compo 80/BS (1978)

NEC annunciò il suo primo vero personal computer, il PC-8001, nel maggio del 1979. La prima serie della famiglia PC-8000 fu messa in vendita a ¥168,000 (circa $700). Le specifiche tecniche erano di tutto rispetto per l'epoca, potendo contare sulla cpu NEC μPD780C (Z80 compatible) a 4 MHz e 16Kb di RAM, poteva visualizzare 80 colonne di testo o 160x120 pixel in modalità grafica con 8 colori a schermo. L'interprete BASIC in ROM era fornito in licenza da Microsoft e, grazie all'architettura Z80, supportava anche il sistema operativo CP/M.

NEC PC8001
NEC PC8001 (1979)

Era un sistema con architettura modulare, con la scheda madre e la tastiera combinata in un'unica unità, a cui potevano essere aggiunte numerose periferiche tra cui un monitor CRT, una stampante, un registratore a cassette, un floppy disk e un accoppiatore acustico. Il NEC PC-8001 poteva anche essere usato come terminale di un sistema general-purpose. Sebbene sia generalmente riconosciuto come il primo personal computer giapponese rivolto all'utenza domestica, sul mercato interno fu preceduto dall'Hitachi Basic Master.

SHARP_MZ80
All-in-one Sharp MZ80 (1979)

Nello stesso periodo, anche Sharp entrò sul mercato con l’MZ80, uno dei primi computer a trovare una certa diffusione in Europa. Era basato su un microprocessore sviluppato dalla stessa Sharp e compatibile con lo Zilog Z80. Seguendo la strada aperta dal Commodore PET, l’MZ80 era completo di monitor e registratore a cassette e poteva essere programmato in BASIC, che doveva però essere caricato da nastro.

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Matsushita/Panasonic MyBrain JD-700 commercializzato con il brand National (1979)

Nel 1978 Matsushita/Panasonic presentò la sua linea JD-700 rivolta al mercato business, mentre nel 1981 lanciò l’economico home computer JR100 con cpu MN1800A prodotta in casa (compatibile con il Motorola 6802)

SORD era un altro interessante produttore nipponico, anche se oggi è uno dei nomi meno conosciuti.  A differenza dei concorrenti che potevano contare su notevoli risorse economiche, SORD era una piccola compagnia con poche centinaia di dipendenti. SORD deriva il suo curioso nome dalla combinazione dei termini SOftware e haRDware. La scelta avvenne non a caso poichè l'azienda nacque nel 1970 proprio con lo scopo di produrre software strettamente integrato con l'hardware a cui era destinato, principalmente dei minicomputer Digital della serie PDP. In seguito iniziò a fornire interfacce hardware/software necessarie per l'utilizzo dei primi floppy disk.

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SORD SMP80/20 con cpu intel 8080, l'Altair Giapponese (1974)

Nel 1974, subito dopo l'annuncio del microprocessore 8080 da parte di Intel, SORD iniziò lo sviluppo di un microcomputer basato su questa cpu. Qualche mese dopo, SORD svelò l'SMP80/20, che può essere considerato una sorta di Altair giapponese.

Nel 1977, SORD introdusse la serie M200, un computer destinato al mercato business, dotato di cpu Z80A a 4Mhz, 64Kb di RAM, floppy da 5.25" e sistema operativo CP/M. Negli anni successivi SORD lanciò una serie di modelli per utenza professionale, come il SORD M23, uno dei primi computer a trovare una certa diffusione fuori dai confini nazionali, e si affacciò nel mercato casalingo con la serie M100.

Sord_m100
SORD m100 nella versione ACE del 1979

Nel 1982, SORD occupava la quarta piazza fra i produttori giapponesi di computer, con una quota di mercato pari al 6%, dietro a NEC (45%), Sharp (16%) e Fujitsu (12%).

Tuttavia il contributo più significativo di SORD a cavallo degli anni '80 fu il software PIPS (Personal Information Processing System), un pacchetto che integrava le funzionalità di un foglio di calcolo simile a Visicalc, di un database e di un elaboratore di testi. Il grande successo di PIPS è motivato dal fatto che in Giappone era una pratica comune vendere i computer senza software a corredo, cosa che obbligava i clienti ad acquistarlo a parte. Inoltre, i software importati dall'estero erano pochi e quasi mai tradotti, perciò gli utenti preferivano rivolgersi ad un prodotto nazionale.

Analisi del mercato giapponese

Perchè il mercato dei computer era così atipico in Giappone, e perchè i computer giapponesi sono così poco conosciuti negli altri paesi? Non è semplice rispondere a questa domanda, bisogna infatti considerare non solo gli aspetti tecnici ma anche quelli economici e culturali.

Uno dei problemi più evidenti era l'estrema competitività dei mercati, tale da rendere quasi impossibile l'affermazione di un prodotto importato dall'estero.
Il livello della sfida si alzò ulteriormente negli USA, dopo che Jack Tramiel, CEO di Commodore, dichiarò una guerra dei prezzi per tagliare fuori la rivale Texas Instruments. Sotto questo aspetto, lo scenario giapponese è sovrapponibile a quello britannico, con i primi personal computer che seguirono uno sviluppo indipendente sul mercato interno.

I Giapponesi stanno arrivando, c’è il rischio che NEC diventi la SONY dell’informatica
- Jack Tramiel

Tuttavia, molti produttori giapponesi tentarono di vendere il loro hardware in America e in Europa. Come già aveva fatto SONY con l’elettronica di consumo, NEC avrebbe avuto le carte in regola per dominare anche sul mercato globale. Producendo in casa la maggior parte dei componenti, NEC avrebbe potuto esportare la propria architettura a prezzi molto competitivi. “I Giapponesi stanno arrivando”, diceva Jack Tramiel, “c’è il rischio che NEC diventi la SONY dell’informatica”.

NEC aveva una sussidiaria con sede a Boston e presentò vari computer per il mercato statunitense nel corso degli anni '80, come il PC-6001 (con il brand NEC Trek), il PC-8001 e il PC-9801 (con il brand NEC APC). In generale, le recensioni furono molto positive, il NEC APC fu anche premiato in Australia come miglior pc dell'anno 1983. Sfortunatamente, NEC non investì con convinzione nel marketing per imporre i propri prodotti, non strinse accordi con le software house e pochissime aziende di terze parti supportarono attivamente i suoi computer all’estero.

NEC_apc
NEC Advanced Personal Computer, versione del PC-9801 per il mercato americano (1982)

Dal punto di vista occidentale, il Giappone appariva come un mercato più complicato di quanto fosse in realtà. Le grandi aziende giapponesi dominavano il settore, ma la domanda interna di personal computer era inferiore rispetto a quella di altri paesi, principalmente a causa della mancanza di buoni software localizzati, e la perdurante popolarità dei word-processor, sistemi dedicati che fino alla prima metà degli anni '80 erano ancora molto più adatti rispetto ad un personal computer a riprodurre le complessità del testo in caratteri giapponesi.
Per questo motivo, la maggior parte dei produttori stranieri non aprì delle sussidiarie e il Giappone rimase pressocchè isolato fino nei primi anni '90 quando  iniziarono a farsi strada dei PC IBM compatibili molto economici prodotti da aziende come Compaq e Gateway.

La domanda interna di personal computer era bassa poichè i word-processor erano più adatti a riprodurre la complessità dei caratteri kanji

Commodore rappresentò una notevole eccezione: quando nel ‘78 introdusse i primi PET in Giappone, la sua quota di mercato sfiorava paradossalmente il 50%, non avendo ancora la concorrenza di NEC e Sharp. Nel 1980, proprio in Giappone fece debuttare il VIC-20, denominato VIC-1001, parzialmente progettato dalla sua filiale nipponica, riscuotendo un buon successo; la successiva MAX Machine e la versione localizzata del Commodore 64 non ebbero la stessa fortuna a causa dell'alto prezzo e per la mancanza di software a corredo.
D'altra parte, un appassionato che voleva mettere le mani su un Atari 800 o uno ZX Spectrum, non poteva fare altro che rivolgersi ad un distributore indipendente e farsi carico degli alti costi di importazione.

Infine, bisogna ricordare il fenomeno piuttosto diffuso verso la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, delle schede Apple II clonate e altro hardware pirata che era facilmente reperibile nei piccoli negozi di elettronica. Risale all’epoca la popolarità di alcuni quartieri, come Akihabara a Tokio, catatterizzati dall'enorme densità di attività commerciali in cui gli hobbisti possono ancora oggi trovare ogni sorta di prodotto elettronico, così da diventare una vera meta turistica, in particolare per gli amanti del retrogaming.

La barriera più importante alla diffusione dei personal computer in Giappone fu il problema della riproduzione elettronica del testo. Il linguaggio scritto giapponese ha tre componenti principali: due alfabeti fonetici (hiragana, katakana), 46 caratteri assimilabili alle lettere minuscole e maiuscole del nostro alfabeto, relativamente facili da riprodurre a schermo, a cui si aggiungono i kanji, un insieme di un migliaio di simboli originari della Cina.
Il gran numero e la complessità di questi caratteri avrebbe richiesto una quantità di memoria e una risoluzione grafica che andava ben oltre le specifiche dei primi personal computer.

Con un solo byte, la codifica ASCII utilizzata in occidente era in grado di rappresentare un massimo di 256 caratteri, più che sufficiente per lettere, numeri e la maggior parte dei simboli di uso comune.  Invece, sarebbe servita una memoria dieci volte più grande per ospitare tutti i caratteri necessari al testo giapponese. Per di più, mentre un blocco di 8x8 pixel era sufficiente a visualizzare chiaramente i singoli caratteri del nostro alfabeto, i kanji risultavano praticamente illegibili senza un'adeguata risoluzione grafica.

Per questo motivo, qualsiasi computer prodotto in occidente avrebbe richiesto notevoli modifiche hardware per supportare adeguatamente il testo giapponese. Il problema continuò a persistere per tutto il decennio, finché nel 1990 venne adottata una soluzione puramente software grazie al DOS/V, sistema operativo realizzato da IBM Japan, che permetteva di visualizzare il testo su un PC IBM-AT dotato di scheda grafica di nuova generazione (il carattere "V" in DOS/V stava infatti ad indicare VGA e non "versione cinque").

La sostanziale differenza architetturale per gestire display ad alta risoluzione ebbe un notevole impatto anche sullo sviluppo dei videogame

Anche Apple aveva provato ad introdurre una soluzione proprietaria interamente software nel 1986 ma l'hardware dell'epoca non si rivelò in grado di supportarla adeguatamente. Nel frattempo, i produttori giapponesi progettavano il loro hardware attorno display ad alta risoluzione e porzioni di memoria dedicata al fine di visualizzare correttamente i caratteri kanji.

Questa scelta marcò una sostanziale differenza architetturale con l'hardware progettato in occidente ed ebbe un notevole impatto anche sullo sviluppo dell'industria dei videogame.
Appare quindi abbastanza scontato che il computer che finì per dominare il mercato giapponese avesse come principale caratteristica eccellenti capacità grafiche.

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Personal Computer a 16-bit, NEC PC-9801 (1982)

Presentato nell'ottobre del 1982, il NEC PC-9801 era un computer con una vera architettura a 16-bit e dotato di una VRAM dedicata per la visualizzazione dei kanji. Una speciale ROM contenente migliaia di font, inizialmente venduta separatamente, entrò presto a far parte della configurazione standard.
Il processore utilizzato fu inizialmente un intel 8086, successivamente NEC lo sostituì con la sua cpu V30 (μPD70116), compatibile x86 ma fino al 30% più veloce a parità di clock. I processori NEC diventarono una soluzione abbastanza comune negli anni ‘80 e furono adottati anche da altri produttori, fra cui Olivetti.

Il NEC PC-9801 ospitava due controller grafici separati (µPD7220), uno per il testo e uno per la grafica, in grado di offrire una risoluzione massima di 640x400 pixel con 8 colori simultaneamente a schermo (davvero notevole nel 1982!)
La velocità con cui venivano renderizzati i caratteri a schermo era superiore a qualsiasi altra soluzione presente sul mercato, e ciò rese il computer NEC la scelta ideale in ambito business. Nel 1987, il PC-9801 arrivò a catturare il 90% del mercato giapponese.

Japan Computer Trinity

Come negli USA si era formata la "computer trinity" del 1977, con il rilascio di Commodore PET, Apple II e Tandy TRS-80, nel 1982 anche in Giappone andava delineandosi uno scontro a tre fra i computer a 8-bit di NEC, Fujitsu e Sharp rivolti al mercato domestico.

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NEC 8800 Series, modello PC-8801 del 1981

Il NEC PC-8801, introdotto nel 1981 come evoluzione del precedente PC-8001, era inizialmente rivolto agli utenti business ma dopo il rilascio del PC-9801 a 16-bit, fu ricollocato nella fascia bassa del mercato, dove riscosse un notevole successo.

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Sharp X1 - Home Computer basato su cpu Z80 (1982)

Lo Sharp X1 era un home computer basato sulla cpu Z80 prodotta da Sharp con una serie di interessanti caratteristiche ereditate dalla precedente serie MZ-80. L'interprete BASIC, a differenza della maggior parte dei concorrenti, non risiedeva in una ROM ma doveva essere caricato da nastro. Questa scomodità si traduceva nel vantaggio di avere la massima quantità di RAM libera. L'X1, sviluppato dalla Television Division di Sharp, integrava nel monitor un sintonizzatore tv e permetteva di sovraimpporre la grafica generata dal computer all'immagine televisiva e di controllare via software tutte le funzionalità del tv. La presenza di una VRAM dedicata rendeva lo Sharp X1 particolarmente adatto ai videogame.

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Fujitsu presenta la sua famiglia di computer a 8-bit (1981)

Originariamente denominato FM-8Jr., il Fujitsu FM-7 fu introdotto come versione economica della famiglia Fujitsu Micro 8-bit, presentata nel 1981 per il mercato business. Nonostante coprisse la fascia bassa del mercato, il Fujitsu FM-7, dotato di doppio processore Motorola 6809 (uno usato come cpu principale e l'altro come co-processore grafico) e 64Kb di RAM, si dimostrò tecnicamente superiore ed era in grado di far girare quasi tutti i software prodotti per l'FM-8. Usava un interprete F-BASIC sviluppato da Fujitsu con diverse estensioni rispetto al Microsoft BASIC. Diversi applicativi e il sistema operativo OS-9 erano compatibili col Tandy TRS-80 Color Computer, basato sulla stessa cpu 6809.

Questi tre computer condividevano la maggior parte delle caratteristiche, avevano una buona resa grafica ma ancora non supportavano gli sprite a livello hardware; ebbero un grande successo nel mercato interno ma non vennero mai ufficialmente esportati all'estero.
Allo stesso periodo risalgono una serie di prodotti che, pur non avendo avuto una grande diffusione, presentano caratteristiche interessanti.

epson hx20
Epson HX-20, il primo computer portatile (1982)

Nel 1982 una delle maggiori case Giapponesi, la Epson, realizzò quello che è riconosciuto come il primo computer portatile: l’HX-20.

Sony SMC70
Microcomputer Sony SMC70, il primo ad utilizzare i floppy da 3,5" (1982)

Nello stesso anno Sony, che fino ad allora si era dedicata a realizzare apparecchiature professionali specialmente nel settore video, mise in produzione l’SMC70, il primo computer a utilizzare i dischetti da 3,5 pollici, ideati dalla stessa Sony, che diventeranno uno standard e andranno a soppiantare gli allora diffusi floppy da 5 pollici.

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Sord presenta il suo Home Computer Sord m5 (1982)

Sempre nel 1982 la Sord realizzò l’M5, un home computer basato su Zilog Z80 che ebbe un discreto successo anche in Europa. Tecnicamente abbastanza evoluto, utilizzava il TMS9929 come video processor e il SN76489AN come sound generator, era in grado di gestire 16 colori in modalità grafica.

Toshiba Pasopia7
Toshiba Pasopia7 (1982)

Il Toshiba Pasopia 7, basato su Z80, era un 8-bit piuttosto evoluto che si caratterizza per il design e le cover colorate. Il Casio PV2000, derivato dalla console PV1000, voleva riproporre un Sinclar ZX-81 in chiave nipponica ma fu un flop clamoroso.
Il produttore di giocattoli Tomy si buttò nella mischia con il Pyūta, conosciuto all’estero come Tomy Tutor: prodotto da Matsushita attorno alla cpu a 16-bit TMS 9995, era tecnicamente simile al Texas Instruments TI-99/4A e, almeno in Giappone, ebbe una certa di popolarità.

Il 1983 fu l’anno della rivoluzione dell’Home Computer in Giappone (e non solo). In quell'anno infatti Kazuhiko Nishi, all'epoca vice direttore della filiale giapponese di Microsoft e fondatore della società ASCII, creò lo standard MSX che venne immediatamente abbracciato dalla quasi totalità delle aziende nipponiche, i cui modelli invasero per anni il mercato mondiale commercializzati con i marchi originali o dati in licenza ad altri produttori.

Sony MSX
Home Computer Sony MSX HitBit-10-P (1983)

Lo standard MSX rimase una presenza forte per tutto il decennio e si affiancò alle pre-esistenti architetture a 8-bit. Ma non diventò mai lo standard mondiale per cui era stato originariamente concepito; la sua popolarità rimase confinata al Giappone e conquistò fette di mercato consistenti solo in America Latina e in qualche paese arabo. Come conseguenza sul mercato nipponico, l'adozione dell'MSX segnò la definitiva uscita di scena delle architetture proprietarie presentate con poca fortuna da Sony, Toshiba, Sord ed altri produttori nei primi anni '80.

Computer giapponesi a 16-bit

Nella seconda metà degli anni '80, i limiti delle macchine a 8-bit iniziarono ad apparire evidenti e la bilancia si spostò gradualmente a favore del sistema a 16-bit della NEC, il PC-9801, che grazie alla sua crescente popolarità nel settore business, aveva conquistato una posizione dominante sul mercato.

Sharp e  Fujitsu risposero con i loro modelli a 16-bit, formando di fatto una nuova triade.
Nel 1987 la Sharp presentò X68000 e sbalordì il mercato per due motivi: il primo era la notevole potenza del computer che avrebbe benissimo potuto competere con Amiga e Atari ST; il secondo fu la decisione di Sharp di non esportare in nessun mercato tale meraviglia.

Sharp X68000
Sharp X68000, computer a 16-bit dedicato ai videogame (1987)

Come il nome lascia supporre, si trattava di una macchina costruita attorno alla CPU Motorola 68000, comune ad Amiga e Atari ST, accompagnata però da una configurazione hardware che rendeva il sistema Sharp superiore a entrambi, perlomeno nel 1987, anno del lancio sul mercato.

Innanzitutto la CPU girava a 10Mhz, contro i 7.16 dell’Amiga 500/2000 NTSC e gli 8 dell’ST. Inoltre la grafica, già nel modello originale, supportava una palette di 65536 colori, contro i 4096 dell’Amiga OCS, e una risoluzione massima di 1024×1024, superiore perfino ai 1280×512 del chipset AGA introdotto col l’Amiga 4000/1200. Sempre in tema di grafica, 512k di text VRAM, 512k di graphic VRAM e 32k di sprite VRAM rendevano l’X68000 idoneo per spettacolari porting di giochi arcade, come Strider, Final Fight, Street Fighter 2, R-Type, Ghouls ‘n’ Ghosts; per questo motivo l’X68000 è un computer di culto nel settore dei videogame.

Fujitsu FM-Towns
PC multimediale Fujitsu FM-Towns (1989)

Fujitsu rispose solo nel 1989 con il suo FM Towns, basato su un processore intel 386DX a 16 MHz, dotato di CD-ROM e appositamente sviluppato per applicazioni multimediali.

Prima dell’avvento dei PC con sistema operativo Windows, Fujitsu guadagnò la seconda piazza nel mercato nipponico, dietro a NEC, e riuscì a convincere importanti software house come Psygnosis, Infogrames e LucasArts a convertire per FM Towns alcuni dei loro classici, come Zak McKracken e Ultima.